Index, lo screening di massa ha coinvolto 400 mila donne «a rischio» individuando il cancro precocemente nel 4,1% dei casi
da: Corriere.it
Uno screening di massa che ha coinvolto oltre 400 mila donne «a rischio» di tumore al seno, individuandolo precocemente nel 4,1% dei casi. L’indagine, chiamata Index, ha coinvolto 10 Asl lombarde e confermato che i controlli preventivi sono l’arma più efficace per combattere la malattia. E per ridurre i costi socio-sanitari e psico-fisici conseguenti ad un cancro individuato in ritardo. Non solo, l’indagine ha permesso anche di fotografare la situazione milanese e lombarda per quanto riguarda diagnosi e terapia del tumore al seno: molte luci e poche ombre, ma restano da migliorare i tempi d’attesa e da ridurre gli esami inappropriati post-intervento, che finiscono per spostare risorse ai controlli preventivi sulle donne a rischio.
LA RICERCA – La ricerca è stata condotta dalla Fiaso (Federazione italiana di aziende sanitarie ed ospedaliere) e dal Cipomo (Collegio italiano dei primari oncologi ospedalieri) in queste Asl: Bergamo, Como, Lodi, Milano, Milano 1, Milano 2, Pavia, Valle Camonica, Varese. L’analisi “scientifica” dei dati ha indicato anche dove si può risparmiare, “migliorando” e non penalizzando. Occorre tagliare ciò che funziona meno. E cioè i numerosi esami di follow up nei pazienti sottoposti a chemio e che non hanno avuto recidive dopo l’intervento chirurgico. Non apportano benefici. Anzi. L’inappropriatezza di molti di questi esami finisce per distogliere risorse importanti alla diagnosi precoce e alla prevenzione. E che prevenire sia meglio che curare è ormai dogma largamente condiviso in medicina, soprattutto per il tumore al seno che, come dimostrano i dati dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), resta il carcinoma più diffuso tra le donne di tutto il mondo, rappresentando il 16% del totale.
LE DIAGNOSI – In Italia ogni anno sono diagnosticati 157 mila nuovi casi di cancro e anche nel nostro Paese il tumore al seno è il più diffuso tra le donne, con oltre 47 mila casi all’anno, pari al 30,2% del totale. I dati si differenziano però molto da un’area all’altra del Paese, con un minimo di 954 casi su 100 mila soggetti in Puglia e un massimo di 2.682 casi, sempre su 100 mila, in Friuli. In genere si rileva una maggiore incidenza di casi al Nord rispetto al Centro-Sud, dovuta in buona parte a una maggiore esposizione a fattori di rischio. I dati dicono, inoltre, che in Italia l’incidenza del carcinoma mammario è rapidamente cresciuta negli ultimi 40 anni, con un incremento del 186%, ma anche che nell’ultimo ventennio si è parallelamente assistito a una graduale riduzione della mortalità, che è scesa del 24% dal ’90 al 2010. Con tassi di sopravvivenza arrivati ormai al 97% dopo un anno dalla diagnosi e all’87% dopo 5 anni.
LA SOPRAVVIVENZA – Sopravvivenza più alta laddove è più attiva la rete dei controlli preventivi sulle donne a rischio. Quali test e quando? La mammografia bilaterale, da eseguire nelle donne tra i 45 e i 69 anni ogni 12-24 mesi. «Non c’è evidenza che altre tecniche, quali l’autopalpazione, la valutazione clinica della mammella e l’ecografia siano parimenti efficaci nello screening del tumore al seno», chiarisce lo studio Index. Nelle 10 Asl che hanno partecipato allo studio oltre il 90% delle donne tra 50 e 69 anni (406 mila) sono state “invitate” ad effettuare il controllo. Un tasso nettamente più alto di quello nazionale, che si attesta al 69%. Le donne che hanno poi effettivamente effettuato lo screening sono state 368 mila, circa il 56% del totale. Un valore ancora non soddisfacente, in linea con la media nazionale che è del 55%. La ricerca ha rilevato la necessità di ridurre i tempi di attesa tra diagnosi e intervento chirurgico (attesa media di 53 giorni) e tra intervento e inizio dei trattamenti farmacologici (58,5 giorni in media) o radioterapici (111 giorni in media). E, infine, troppi esami post intervento chirurgico: nell’arco di un anno se ne eseguono in media oltre 3,5. Un’operata su cinque effettua una scintigrafia ossea e una su dieci una Tac. E questo nonostante non esistano evidenze sui reali benefici di tutti questi esami dopo l’asportazione del tumore.
Mario Pappagallo – Corriere della Sera